Invece di potenziare il Cardarelli e migliorare le prestazioni pubbliche, il commissario punta ancora una volta sul privato che fa i suoi interessi: è la conferma della miopia istituzionale sulla Sanità
Il Decreto 51 della struttura commissariale ripristina le prestazioni ambulatoriali chemioterapiche che la Fondazione Giovanni Paolo II aveva sospeso nei giorni scorsi. Più che i molisani a guadagnarci è proprio la ex-Cattolica. Il commissario Frattura, come Iorio prima di lui, dimostra di non capire che in Sanità il privato non deve sostituire il pubblico, ma affincarlo. Oggi, invece, il pubblico non viene messo nelle condizioni di operare al meglio, quindi non potrà mai essere competitivo anche perché è tenuto a rispettare i principi di universalità, uguaglianza e solidarietà. Il privato, per sua stessa natura, deve guardare al profitto.
La sudditanza della Regione nei confronti del privato è certificata finanche dalla intestazione dei suoi documenti. Il decreto dell’ente regionale è indirizzato prima alla Fondazione Giovanni Paolo II, solo dopo alla Direzione Asrem.
Ma scendiamo nel dettaglio. Attenzione alle date. L’8 agosto scorso le associazioni attaccano la revoca del pagamento delle somministrazioni di farmaci in ambulatorio, forse imbeccate dalla Cattolica che sospende il servizio. Il giorno successivo la Regione replica spiegando di aver dato già ampie garanzie, ma evidentemente non quelle che voleva la Cattolica. Il 10 agosto viene reso pubblico il decreto 51 che porta la data del 7 agosto. Dunque è difficile pensare che la Cattolica non fosse a conoscenza delle decisioni regionali. Oggi, 12 agosto, Marinella D’Innocenzo, direttore regionale dell’Area Salute spiega che i posti letto saranno tolti tanto nel pubblico quanto nel privato, ma specifica che oncologia e cardiochirurgia della Fondazione sono “insostituibili”. Il cerchio si chiude: la Regione abbassa il capo.
I tempi sembrano delineare una strategia. I vertici della ex Cattolica non sono soddisfatti del dietrofront della Regione, anzi vogliono cogliere l’attimo per alzare il livello dell’attenzione mediatica per garantirsi un occhio di riguardo nella programmazione in atto. Insomma, il privato fa il suo gioco. Ma è normale strumentalizzare il tema delle prestazioni chemioterapiche, cavalcando la disperazione di intere famiglie e l’indignazione dell’opinione pubblica non troppo informata sui fatti?
Stiamo dicendo che oggi il vero tema nella battaglia tra Frattura e Regione da una parte, Cattolica e Vescovo dall’altra, non è quello sulle “prestazioni sanitarie di chemioterapia” o sui “farmaci oncologici ad elevato costo”. Ma è ancora una volta: il conflitto tra la gestione pubblica e quella privata della Sanità.
Stavolta, però, emerge ciò che il MoVimento 5 Stelle Molise tenta di spiegare con difficoltà da tempo per far comprendere perché sia importante puntare sulla Sanità pubblica per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza: la Fondazione, in questo caso, ha interrotto l’erogazione di un servizio. Ma c’è di più. L’ospedale Cardarelli è assolutamente in grado di soddisfare l’esigenza dei molisani e, anche nel caso in cui una nuova interruzione del servizio privato determinasse un aumento di pazienti, basterebbe aggiungere pochi medici e qualche infermiere, addirittura per raddoppiare il numero di prestazioni che il reparto di Oncologia offre oggi. Quindi una cosa deve essere chiara: i cittadini non hanno rischiato nulla.
Chi, invece, ha rischiato è stata la Fondazione “Giovanni Paolo II” che, non vedendosi riconoscere il pagamento delle somministrazioni di farmaci in ambulatorio, avrebbe perso i guadagni annessi. Il Decreto 31, infatti, ha prescritto che i farmaci oncologici potessero essere somministrati soltanto in Day Hospital, non tramite prestazioni ambulatoriali. Che differenza c’è? In Day Hospital la remunerazione del servizio (ciò che la Regione paga al privato) avviene forfettariamente con i cosiddetti Drg, rischiando che, soprattutto per farmaci molto costosi come alcuni chemioterapici, non si coprano nemmeno i costi. Per l’ambulatorio, invece, si rimborsa tutto il costo del farmaco, ma in più viene pagata la prestazione di servizio, quindi è possibile fare profitto.
Dunque viene il dubbio che la Fondazione abbia interrotto un servizio che comunque avrebbe potuto offrire in Day Hospital per il semplice fatto che nessuna struttura privata offrirebbe prestazioni più costose di quanto ricevuto con i rimborsi. In pratica, la Cattolica ha chiuso agli arrivi di nuovi pazienti in cure chemioterapiche perché voleva più soldi.
In definitiva è ora che la Regione si svegli e punti al potenziamento delle strutture pubbliche. Abbiamo avuto l’ennesima conferma che il privato, se non trova convenienza, abbandona il campo senza troppi problemi. Il Movimento 5 Stelle non si sognerebbe mai di puntare il dito contro gli operatori anche loro in qualche modo vittime della situazione. Ma è giusto capire che mentre l’obbiettivo del pubblico è quello di curare i pazienti, per il privato è la base, se non per fare profitto, quantomeno per non perderci. Il privato “chiude” quando gli pare, il pubblico no; il privato accetta i pazienti che vuole, il pubblico no; il privato non è sempre disponibile, il pubblico è obbligato ad effettuare turni e coprire ogni minuto.
Non si può attendere lo smantellamento della Sanità pubblica per comprendere queste differenze.
1 commento
quindi secondo voi il personale che lavora alla Cattolica può essere licenziato e mandato a casa?