L’ospedale Cardarelli di Campobasso, unico hub della sanità regionale, da più di un mese è diventato anche il centro di riferimento per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. La struttura sanitaria più importante in Molise è stata di fatto ridimensionata da scelte organizzative opinabili. Ora il dubbio è che si possa tornare tornare alle condizioni precedenti ad emergenza finita.
Di Fabio De Chirico, portavoce M5S in Consiglio regionale del Molise
Durante l’ultimo Consiglio regionale ho voluto segnalare le condizioni rischiose e poco agevoli del Pronto Soccorso e dei percorsi assistenziali all’interno dell’ospedale Cardarelli, unico nosocomio dedicato alla gestione, non esclusiva, del paziente affetto da Covid-19.
Dalla circolare ministeriale n. 7865 del 25 marzo, che ha aggiornato le linee di indirizzo organizzative dei servizi ospedalieri e territoriali per fronteggiare l’epidemia, si legge all’ultimo punto del paragrafo sul ricovero ospedaliero: “Solo in casi eccezionali, laddove non risulti possibile la separazione degli ospedali dedicati alla gestione esclusiva del paziente Covid da quelli Non Covid, i percorsi clinico-assistenziali e il flusso dei malati devono, comunque, essere nettamente separati. Occorre individuare specifiche strategie organizzative e gestionali che, nel più breve tempo possibile, consentano la netta separazione delle attività Covid e mettano a disposizione, in relazione all’evoluzione dell’epidemia, l’ampliamento della rete dedicata. Pertanto, i pazienti Non Covid ancora ricoverati devono essere allocati in strutture e stabilimenti alternativi al fine di evitare pericolose infezioni nosocomiali”.
L’Asrem si è dovuta quindi organizzare per far sì che il Molise diventasse a livello nazionale “l’eccezione che conferma la regola”, o forse solo l’eccezione, dato che il tentativo di riorganizzazione del Cardarelli temo si sia tradotto in un vero e proprio smantellamento da cui sarà difficile tornare indietro.
Sappiamo che, dopo aver disposto la sospensione di tutte le attività ambulatoriali e di ricovero, tranne quelle non procrastinabili, e aver disposto l’ampliamento di spazi e posti letto nel reparto malattie infettive (al Piano terra), poi proseguito con la chiusura e l’accorpamento di Urologia (Piano secondo) e poi ancora di Oculistica (Piano quinto), l’Asrem ha dovuto provvedere necessariamente alla netta separazione dei percorsi clinico-assistenziali e del flusso dei malati così come prescritto dalla circolare.
Sappiamo anche che dalla tenda pre-triage, individuati i pazienti sospetti Covid, vanno tutti al Pronto Soccorso, dove dovrebbero essere ovviamente evitate al massimo le contaminazioni, sia tra i soggetti in attesa di diagnosi, sia tra i soggetti affetti da patologie acute ma a rischio di essere Covid positivi non ancora diagnosticati.
Invece sembra non sia così. Circa quindici anni fa il Pronto Soccorso di Campobasso fu ristrutturato proprio per fronteggiare le malattie infettive contagiose, come in quel periodo avvenne per la Sars. Furono allestiti appositi locali di Osservazione Breve/Medicina d’urgenza e stanze autosufficienti per isolare i pazienti sospetti in attesa del referto dei tamponi. Oggi però questi locali sono stati tolti completamente riducendo di fatto gli spazi dedicati ma aggravando il rischio di contatto promiscuo. Nella stessa area infatti siedono insieme casi sospetti, positivi e negativi, con gravi rischi di contagio, specialmente perché alcuni hanno bisogno di terapie con ossigeno che producono aerosol. C’era anche un percorso protetto, con porta di accesso all’esterno autonoma, oggi stranamente inutilizzata. Per non parlare di Pediatria che è stata chiusa da un muro e quindi trasferite le attività all’ospedale Veneziale di Isernia.
Tutto azzerato quindi. Quindici anni fa avevano creato i percorsi Sars e ora ne hanno creati altri completamente diversi. Percorsi esterni tortuosi per trasferire dal PS i positivi sospetti o accertati, nel tentativo di mantenere la massima sicurezza nonostante poco prima, positivi e non, fossero tutti insieme. Tra la Rianimazione e il PS ad esempio ci sono circa 10 metri, eppure, nel caso ce ne sia bisogno, il trasferimento del paziente intubato deve avvenire con giro esterno mediante ambulanza, accedere a un ascensore del piano seminterrato, raggiungere il piano terra di Malattie infettive e di seguito percorrendo il corridoio si entra prima nella sala d’attesa della Medicina d’urgenza e poi in Rianimazione. Nell’eventualità invece ci sia bisogno di trasferire il paziente dal PS alla sala operatoria, con lo stesso percorso esterno si raggiunge e si attraversa il reparto malattie infettive, poi si prende un ulteriore ascensore che però subito dopo dovrà essere prontamente bloccato, telefonando all’ufficio tecnico, e sanificato, visto l’utilizzo da parte di farmacia e cucina.
Al di là delle scelte, più o meno condivisibili, sui percorsi Covid individuati al Cardarelli, il dubbio che mi viene è: riusciremo a ripristinare l’ospedale ad emergenza finita? Quanto tempo ci vorrà per porre rimedio allo smantellamento di così tanti reparti? Dobbiamo tenere a mente che l’ospedale di Campobasso è l’unico hub regionale ed è una struttura datata che, con i suoi limiti strutturali, non poteva essere considerata ottimale già prima dell’emergenza. Se tutte le indiscrezioni che mi giungono dall’interno del Cardarelli si rivelassero fondate, rischiamo di trovarci, dopo il Coronavirus, a fare i conti con una sanità regionale addirittura peggiorata.