Per quanto concerne il mercato del lavoro e nello specifico quello giovanile (15-29 anni) nel Molise si rilevano performance sostanzialmente in linea con quelle – diffusamente negative – che si registrano nelle regioni del Mezzogiorno, mentre sensibilmente migliori rispetto ai valori medi del Mezzogiorno sono i tassi di occupazione e di disoccupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni ed il tasso di NEET (Not in Employment, Education or Training) cioè dei giovani che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in un percorso di formazione professionale della popolazione tra i 15 e 29 anni.
Sempre con riferimento alla condizione occupazionale dei giovani (15-29 anni), è possibile evidenziare come i valori dei tassi di occupazione (solamente il 19,4% dei giovani molisani lavora) e di disoccupazione (il 43,8% dei giovani molisani cerca lavoro ma non lo trova) della popolazione sono in linea con quanto accade mediamente nel Mezzogiorno (19,8% e 42,9%), ma di molto peggiori rispetto alla media nazionale (29,3% e 29,5%) e delle Regioni del Centro (31,3% e 27,2%). Nettissima è invece la distanza con le Regioni del Nord, che fanno segnare valori significativamente migliori (37,5% per il tasso di occupazione, 21,2% per il tasso di disoccupazione).
La crisi fa sentire pesantemente i suoi effetti a partire dal 2010, con un’accelerazione crescente che determina, soprattutto nell’ultimo biennio 2012-2013, drastici peggioramenti dei tassi di occupazione, disoccupazione e di NEET. Volendo in estrema sintesi misurare l’impatto della crisi sull’occupazione giovanile, confrontando il 2008 con il 2013 si rileva che il tasso di occupazione giovanile è calato del 13,7%, il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato del 22,2% ed il tasso di NEET è aumentato del 9,6%.
I giovani molisani che non lavorano, non studiano e non sono all’interno di tirocini formativi aziendali, i cd. NEET, sono circa 15 mila con un tasso del 29% che pongono la nostra Regione a metà strada tra la media italiana e la critica situazione meridionale, segno di una regione che non è mai riuscita a completare quel salto di qualità da tempo cercato. Di questi la metà sono inattivi, ed il principale motivo è lo scoraggiamento che porta loro ad interrompere anche la ricerca di un posto.
Lo stato di disoccupazione e l’inattività dei giovani, ancor di più quando prolungati, hanno inevitabilmente un impatto negativo sui futuri livelli di reddito delle persone coinvolte, sulla crescita professionale, nonché sull’inclusione e la coesione sociale, aumentando lo scoraggiamento delle giovani generazioni, che vedono allontanarsi sempre di più le prospettive di ingresso nel mondo del lavoro.
Nello scorso triennio 2011-2013 il Piano integrato “Giovani Molise” avviato insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro, insieme ad altri progetti, ha visto giungere in Regione un enorme contributo. A fronte di questo sforzo economico i dati statistici sono impietosi, complice la crisi prima finanziaria, poi economica, tra il 2008 e il 2013 il tasso di occupazione giovanile è calato del 13,7% a fronte di aumenti del tasso di disoccupazione giovanile e del tasso di NEET nella misura, rispettivamente, del 22,2% e del 9,6%; ed in particolare nell’ultimo biennio 2012-2013 sono stati registrati drastici peggioramenti di tutti gli indicatori di riferimento.
Passando ad oggi, a quello che potremmo chiamare in modo ampio, un “Patto del lavoro” riceviamo in dote una dotazione economica altrettanto imponente, da impiegare per le finalità più meritorie, ricche di ottime premesse e affermati principi che passano dall’avviare una Governance sempre più integrata, al definire una strategia unitaria, il tutto avviando processi integrati multilivello che coinvolgano tutti i soggetti parte del percorso: dalle scuole alle università, ai Centri per l’impiego, agli Enti di formazione, alle aziende private, alla cabina di regia Regionale, e che quindi per il prolisso modo di argomentare non possono che essere condivisi nel pieno del loro contenuto.
Non si può dire lo stesso per quanto riguarda l’aspetto che a noi più interessa, la valutazione degli interventi con particolare riferimento agli esiti.
Attualmente, vengono tipicamente considerati sviluppi positivi un alto numero di progetti iniziati o completati, una percentuale elevata di utilizzo della risorse disponibili, e un buon andamento degli indicatori di risultato prescelti, come potrebbe essere ad esempio il tasso di disoccupazione femminile.
Ma questo non è ciò che noi intendiamo per valutazione degli interventi, senza entrare in analisi economiche che avrebbero un respiro principalmente nazionale in merito al rapporto costi-benefici dei progetti di formazione e al costo dei fondi strutturali europei, ciò che vorremmo ad esempio conoscere è se a 12 e a 24 mesi dalla formazione quante persone sono occupate, di che tipo di occupazione si tratta – a tempo determinato o indeterminato, di collaborazione continuata e continuativa o a progetto -, e quanto guadagna l’occupato rispetto al costo del corso di formazione.
Ciò che vogliamo dire con questo, non è che poiché i fondi strutturali non siano valutati nei loro effetti siano necessariamente tutti soldi sprecati, e parimenti, non si può negare la possibilità che vi siano stati effetti positivi.
Semplicemente, senza una valutazione condotta in modo rigoroso, tali effetti non sono rilevati e questa non costituisce una mancanza da poco: senza questo tipo di evidenza non si è in grado di distinguere le politiche che funzionano da quelle che funzionano meno, o che non funzionano affatto.
Quello che vorremmo proporre con il nostro intervento, che ci auguriamo sia stato inteso nel suo senso sì critico, ma costruttivo, è quello di introdurre un approccio controfattuale al fine di poter rispondere ad una domanda di buon senso: i soldi spesi, sono stati ben spesi?
Quindi avere come obiettivo non solo quello di assorbire (cioè impegnare, spendere e rendicontare) tutte le risorse loro assegnate entro n anni dalla conclusione del periodo, ma anche di misurare in modo quanto più accurato possibile i risultati conseguiti.
Ovviamente, come in tutte le questioni di economia non esiste e non esisterà mai una risposta certa alla domanda di partenza. Ci sono però modi più o meno sofisticati e più o meno condivisi tra le best practice internazionali per cercare di avvicinarsi ad una risposta ragionevole.
Tornando al contesto locale, seppur l’obiettivo risulta esser chiaro, accrescere il livello occupazionale nella nostra Regione, non abbiamo statistiche significative sugli esiti così come li intendiamo in termini occupazionali, bensì solamente in termini di risorse impiegate in n progetti in t anni.
Pertanto siamo felicissimi che si riparta ad investire sulla formazione giovanile, sui bonus occupazionali, sull’autoimpiego per i lavoratori svantaggiati, per le attività di welfare to work, nell’apprendistato, nella formazione continua, con borse di studio e borse lavoro, con percorsi formativi di Lifelong Learning Programme e i progetti di Start Up e di Spin Off di impresa, ma vorremmo che si avvii parallelamente anche un gruppo di lavoro che elabori un sistema per la misurazione dei risultati conseguiti in termini occupazionali al termine del programma per comprendere quali politiche hanno dato i loro frutti e quali no, e noi saremmo i primi a dare la nostra disponibilità a collaborare.