La nuova legge di Bilancio, proposta dal Governo Meloni che prevede un turnover limitato al 75 percento dei dipendenti in uscita, rischia di essere un provvedimento con forti conseguenze su Comuni, Province e Regioni, ma soprattutto sui servizi pubblici.
Limitare le assunzioni e non gli appalti, favorisce il precariato e alimenta il profitto dei privati.
di Roberto Gravina
È forte la preoccupazione per le conseguenze della nuova Legge di Bilancio proposta dal governo Meloni, che prevede un turnover limitato al 75 percento dei dipendenti pubblici in uscita. Questo provvedimento colpirà duramente Comuni, Province e Regioni, con pesanti ricadute su settori strategici come la protezione civile, i servizi sociali, gli uffici tecnici, gli asili nido e le scuole materne. Si tratta di servizi essenziali che già oggi operano con organici ridotti e che, con questi nuovi limiti, rischiano di non essere più in grado di garantire la stessa qualità ed efficacia di risposta ai bisogni del territorio.
Servizi pubblici messi a rischio dalla nuova legge di Bilancio Meloni
Ridurre ulteriormente le risorse umane disponibili significa non solo indebolire la capacità operativa di settori chiave per la sicurezza e il benessere dei cittadini, ma anche ignorare la necessità di un ringiovanimento del capitale umano nella pubblica amministrazione. Questo approccio non fa altro che accentuare una carenza di personale che ostacola gravemente la gestione e l’efficienza dei servizi.
Avevamo chiesto di escludere le spese per i servizi essenziali
Il Movimento 5 Stelle, in sede europea, aveva chiesto di escludere le spese per i servizi essenziali dai vincoli di bilancio, consapevole dell’importanza di investire nel benessere delle comunità. È deludente constatare che il Governo non abbia voluto prendere in considerazione questa proposta preferendo una logica di austerità che colpisce direttamente i cittadini e limita l’autonomia organizzativa degli enti locali, sancita dalla nostra Costituzione.
Questa legge rischia di aprire alla privatizzazione
Queste scelte rischiano di aprire la strada a una crescente privatizzazione dei servizi pubblici. Limitare le assunzioni e non gli appalti favorisce il precariato e alimenta il profitto degli intermediari, a scapito dell’efficienza e della qualità dei servizi pubblici.