Strumento fondamentale per evitare il saccheggio del territorio e quindi per la salvaguardia dell’ambiente, il Piano paesaggistico regionale in Molise ad oggi risulta inesistente. A riguardo restano vani gli sforzi e le innumerevoli azioni portate avanti dal MoVimento 5 Stelle. Ancora una volta il governo Toma conferma la sua totale incapacità nel programmare iniziative lungimiranti a tutela del bene comune.
Quando si parla di Piano paesaggistico regionale mi torna alla mente un tormentone musicale: ‘Parole, parole, parole…’. Un ritornello che dura ormai da circa due decenni e che sembra non cambiare spartito con l’attuale governo regionale, incapace di scelte programmatiche di lungo respiro. Eppure il tema del paesaggio è cruciale. Soprattutto in una regione come la nostra, che mira ad essere riconosciuta tra le mete italiane che fanno del territorio incontaminato il proprio principale vettore turistico.
Non si è fatto nulla per impedire il saccheggio del territorio
L’assenza di un Piano paesaggistico si traduce nel privare il nostro territorio dello strumento attraverso cui la Regione definisce gli indirizzi e i criteri relativi alla tutela, alla pianificazione, al recupero e alla valorizzazione del paesaggio e ai relativi interventi di gestione. Nei fatti, significa negare ai cittadini uno di quei pochi mezzi necessari ad impedire il saccheggio del territorio, che prosegue indisturbato sotto forma di ‘sviluppo’.
L’esempio è sotto gli occhi di tutti: il progetto di parco eolico tra Campomarino e Portocannone prevede ben cinque torri eoliche alte circa 200 metri, con pale lunghe in media 80 metri ed un peso che oscilla intorno alle 200 tonnellate. Torri imponenti, incastrate e mantenute a terra da enormi piattaforme di cemento armato, da piazzare a ridosso del tratturo del Re o tratturo Magno, il più lungo ed importante tra i tratturi italiani. Le due amministrazioni comunali interessate non hanno potuto quindi che ufficializzare la loro contrarietà emanando delibere ostative.
La legge a tutela del territorio è chiara
Convertirsi allo sviluppo sostenibile attraverso la produzione di energia da fonti rinnovabili è sì necessario, ma deve essere l’ente Regione, tramite l’approvazione di un Piano paesaggistico, a decidere dove possono essere posizionati gli impianti. Quando la Regione tace, l’opportunismo dei privati per la nuova ‘green economy’ ha carta bianca. Ma la legge a tutela del territorio è chiara. Ripassiamola insieme.
L’Italia fu il primo Paese al mondo a mettere il paesaggio tra i principi fondamentali dello Stato. Infatti, l’articolo 9 della Costituzione recita: <<La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione>>. Con la riforma del Titolo V, poi, la tutela del paesaggio passò alle Regioni. La normativa nazionale di riferimento è il ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (D.lgs. 42 del 2004), che attua il precetto costituzionale e non ammette varianti interpretative: <<Le Regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati “piani paesaggistici”. Il piano paesaggistico – continua il Codice – definisce (…) le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile>>.
Negli anni sono stati prodotti diversi atti per la tutela e la valorizzazione del paesaggio, a livello internazionale, nazionale e delle singole regioni. Il faro di riferimento è sempre stato un principio sacrosanto: il vincolo paesaggistico si pone sull’utilizzazione dei beni, non permette la loro commercializzazione. In altre parole, il paesaggio non è un bene in vendita. È stata ratificata con legge dello stato la Convenzione europea del paesaggio. E sono stati presi accordi tra lo Stato e le Regioni sull’esercizio dei poteri in questo delicato ambito. Non da ultimo, un decreto obbliga le Regioni alla redazione di un piano paesaggistico che tuteli il territorio e le sue bellezze.
In Molise siamo ancora inadempienti
Cos’è successo in Molise dopo quell’importante atto normativo? Con eccessiva lentezza, sono state emanate delibere di Consiglio – dietro mio impulso – e di Giunta; è stato stipulato un protocollo d’intesa con il Mibact e sottoscritta una convenzione con l’Università per l’elaborazione del piano. Ma è finita qui. Con mere dichiarazioni d’intento. Dopo circa venti anni di rimandi, di stalli e inefficienze, infatti, siamo ancora colpevolmente inadempienti. Non c’è traccia del Piano paesaggistico regionale. Sia ben chiaro: quando si parla di paesaggio non ci si deve limitare a considerare solo un particolare ambiente caratterizzato da un eccezionale grado di bellezza, ma l’ambiente in cui l’uomo vive e lavora. Infatti, la protezione dell’ambiente non deve perseguire finalità teoriche ma deve esprimere, secondo la sentenza della Corte costituzionale 641 del 1987, <<l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini>>.
Se il Molise conserva ancora la sua essenza paesaggistica, che cattura l’anima di tutti coloro che lo visitano e lo vivono, è dunque solo grazie alle lotte di resistenza civica promosse e messe in atto da movimenti spontanei di cittadini. La politica tace.