Abbiamo ripercorso la vicenda finanziaria che intercorre tra sanità pubblica e privata. La fotografia che ne viene fuori è allarmante. Tra direttive dei Tavoli tecnici disattese e leggi dello Stato inattuate, si registra un palese sbilanciamento verso gli istituti accreditati. Intanto esiste un fumoso tentativo strumentale di spostare il tema su altri tavoli.
Il rapporto conflittuale tra le strutture private accreditate e la Regione Molise va avanti da oltre dieci anni. Non è una novità. La materia del contendere sempre la stessa: chi da una parte vuole mobilità attiva illimitata ed è restio a firmare i contratti, chi dall’altra, osservando leggi dello Stato, impone legittimamente tetti di spesa con atti autoritativi e vincolanti al fine di salvaguardare l’equilibrio economico del sistema sanitario regionale. A nulla neppure le diffide, pena la sospensione dell’accreditamento. I ritagli – qui allegati – DCA n.72 e 73 del 2010, mostrano questo e mettono in evidenza non solo l’incompatibilità delle posizioni, ma soprattutto la persistenza di un annoso problema che anziché essere risolto si è aggravato in termini di volumi.
Per capirne le dimensioni della problematica, ad esempio, l’istituto Neuromed tra il 2019 e il 2021, in piena pandemia, senza sottoscrivere i contratti, ha aumentato da 20 a 30 milioni di euro la mole annuale di fatturazioni inviate alla Regione per prestazioni di specialistica ambulatoriale a pazienti extraregionali. Ciò è accaduto rispetto a un budget annuale disponibile – per lo stesso comparto – di 11,5 milioni. La pratica di aumentare i costi d’impresa, erogando prestazioni a forte rischio di non essere rimborsate, resta una discutibile logica imprenditoriale. In sintesi questa condizione è insostenibile per l’intero sistema sanitario. Sin dal 2010 era scritto chiaramente che “i costi della mobilità extraregionale incidono comunque sul risultato di gestione regionale e concorrono alla formazione del disavanzo valutato in termini di contabilità economica come più volte sostenuto dai Ministeri competenti” e “in caso di mancata stipula dei contratti di cui all’art. 8 quinquies del D.lgs n.502/92 l’accreditamento delle strutture eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale è sospeso”. Fino al 2019 questo surplus di prestazioni veniva regolato da una clausola contrattuale che prevedeva il rimborso due anni dopo, nel momento in cui veniva definito il riparto finanziario in sede di Conferenza Stato Regioni, ma solo nel limite di quanto effettivamente liquidato alla Regione (saldo attivo di compensazione interregionale). Pochi mesi fa la stessa Neuromed ha ricevuto dalla Regione un bonifico di oltre 19 milioni di euro, quota parte dei 27.583 milioni liquidati come saldo attivo di mobilità.
Direttive dei Tavoli tecnici puntualmente disattese
Dal 2020 questa clausola “permissiva”, rivelatasi ingestibile e onerosa per i bilanci, è stata definitivamente eliminata per volontà dei Tavoli tecnici ministeriali, i quali hanno letteralmente dettato le “regole della discordia” da inserire nello schema di contratto, approvato con Decreto del Commissario mai sottoscritto dalle strutture private accreditate. Passaggio fondamentale è il seguente: “Si precisa che qualunque ulteriore importo connesso a prestazioni erogate dalla Struttura oltre il budget, sia per residenti che non residenti, non è in alcun modo riconoscibile”. Ed ancora: “La struttura è tenuta ad erogare le prestazioni previste nei limiti del budget attribuito, sia per i pazienti residenti che non residenti.”Lo abbiamo detto più volte in aula di Consiglio che questa “bolla” di insostenibilità stava crescendo a dismisura e andava posto un freno altrimenti sarebbe scoppiata. C’è chi voleva che scoppiasse evidentemente e di conseguenza minacciare incautamente chiusure e abbandoni di pazienti.
Ma questa non è una vicenda politica su cui dibattere. Quanto accade rientra nella sfera prettamente amministrativa. La politica si è già espressa tempo fa in sede nazionale attraverso il Patto della Salute e la Legge di stabilità 2016 rendendo obbligatori gli accordi di confine finalizzati a regolare il fenomeno della mobilità sanitaria interregionale. Accordi, quest’ultimi, che avrebbero dovuto limitare le prestazioni di basso peso verso privati, soprattutto per Neuromed che abitualmente fattura il 90% per prestazioni extraregionali. Inoltre, a livello nazionale, si è stabilito di porre precisi limiti agli erogatori privati, affrontando in maniera decisa l’appropriatezza dei flussi sanitari migratori.
Strumentalizzazioni e fumose “operazioni verità”
Ora se parte della politica nostrana, quella legata a doppio mandata al proprietario della struttura che più di tutte ha generato l’insostenibilità finanziaria, fa sembrare che la questione sia politica, non è detto ovviamente che lo sia. E non basta aver scomodato l’ex ministro DC Cirino Pomicino. Come può una Regione in Piano di rientro e i suoi cittadini da tempo tartassati con maggiorazioni sulle aliquote fiscali, a sostenere questa situazione? È grave che un erogatore privato accreditato, che somministra prestazioni a carico del Sistema sanitario regionale, non firmi il contratto da tre anni. È grave che si minacci di interrompere le cure per i pazienti regionali, se il budget attribuito copre di fatto le prestazioni. È grave che dopo una fumosa “operazione verità” si cerchi strumentalmente di spostare il confronto dai tavoli istituzionali. I contratti vanno firmati, non si può fare altrimenti. Auspicando maggiori controlli sulle prestazioni erogate e una maggiore partecipazione al raggiungimento degli obiettivi dal disavanzo sanitario regionale, si potrà riprogrammare e ridefinire una rete sanitaria più efficiente, anche con l’aiuto delle strutture private. Tuttavia a giudicare dalla incessante e tendenziosa comunicazione profusa ad oggi, gli obiettivi da perseguire restano ancora molto lontani.