Una riflessione sugli annosi problemi del Molise: lo spopolamento, la denatalità, la mancanza di lavoro e di infrastrutture fisiche e digitali. E le soluzioni per un cambio di rotta della politica, che finora ha ignorato questi problemi.
di Patrizia Manzo
Lo spopolamento e la denatalità, certificati dai dati recenti ma che sono retaggio del nostro passato: temi mai affrontati con il coraggio di scelte e di progettualità politiche di ampio respiro.
Spopolamento e denatalità: la mia analisi da statistico e consigliere regionale
L’argomento, per me, è doppiamente sensibile: sono uno statistico, abituata a ragionare numeri alla mano, quindi. Ad analizzarli nel contesto attuale e nella prospettiva futura. E rappresento la mia terra nella massima istituzione, il Consiglio regionale, lì dove si dovrebbero affrontare temi così improrogabili sotto il profilo programmatico. Di questa piaga, purtroppo, non si ragiona come invece si dovrebbe. Forse immaginando di poterla nascondere come polvere sotto il tappeto. Si perde tempo prezioso dando spazio e merito a mere proposte tampone che poi, guarda caso, si perdono in chissà quale cassetto mentre, di contro, la questione – come è evidente a tutti – è dirimente per il futuro. E non solo per quello dell’Istituzione Regione.
L’unico modo per continuare ad essere Molise consiste nell’individuare e concretizzare la strategia più adeguata per evitare che i giovani vadano via, che i paesi si trasformino in comuni fantasma ai quali contestualmente vengono sottratti tutti i servizi, che il territorio intero diventi sempre più povero e a rischio, proprio perché disabitato. Un intero patrimonio che andrà in malora, come le tante case abbandonate che ormai abitano i nostri meravigliosi borghi.
Il Molise e la mancanza di lavoro
Lavoro. Ecco, è quello che manca. In ogni ambito, in qualsiasi settore, l’assenza del motore – che consente l’indipendenza, una vita autonoma e dignitosa, la crescita della comunità, la resistenza dei servizi pubblici, dalla sanità alla scuola – è quello che farà giocoforza spegnere la macchina.
Abbiamo tutti una precisa responsabilità: arrestare questo che è ormai diventato un processo irreversibile attraverso progettualità che siano in grado di fungere da calamita per i molisani già pronti con la valigia, che attraggano investitori, professionisti, cittadini di altre nazioni, per un nuovo Rinascimento che ci veda protagonisti.
Accorpare il Molise ad altre regioni?
Sul tema dell’accorpamento della Regione Molise, ritengo anche io che sia arrivato davvero il momento di aprire un confronto serio: la perdita dell’autonomia sarà una strada obbligata? Forse, ma di certo sarà dolorosa, e non penso di certo ‘alla poltrona’ a rischio. Sarà come cancellare con un solo gesto il grande lavoro – di enorme spessore come si può verificare leggendo i resoconti d’Aula dell’epoca – compiuto dai nostri predecessori che avevano una visione più moderna di quanto purtroppo oggi non si possa scorgere in gran parte della classe politica attuale.
Cedere al macroregionalismo o alla fusione con un’altra regione libererà la politica dall’onere delle decisioni, dalla responsabilità delle scelte ma non ci aiuterà a risolvere i nostri problemi. Il nostro Molise rischierebbe di essere dimenticato prima ancora che disabitato.
Ma ritengo che il tema debba essere affrontato in maniera scevra da ogni pregiudizio. Si avverte l’urgenza di cominciare ad analizzare e ad approfondire le opportunità, in un’ottica di programmazione di sviluppo a cavallo tra Regioni confinanti; abbiamo il dovere di affrontare i problemi del nostro territorio attraverso competenze specifiche, con un occhio al locale ma con lo sguardo al globale mettendo sempre al centro delle scelte il cittadino.
Oggi il tema è pressante, non ammette ritardi. Non più. Sono d’accordo con lei: il Molise è come un morto che cammina.
La regione più anziana d’Italia perde altri 4.000 residenti
Secondo l’Istat, “nel corso degli anni il continuo aumento della sopravvivenza nelle età più avanzate e il costante calo della fecondità hanno reso l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo”.
Questo particolare connubio vessa da anni il Molise, facendolo divenire la regione più anziana d’Italia. A ciò dobbiamo aggiungere il graduale spopolamento della maggior parte dei suoi comuni.
La popolazione residente totale in Molise, ormai in forte diminuzione, secondo una stima dell’Istat su dati demografici al primo gennaio 2021 ha raggiunto l’esigua cifra di 296.547 abitanti, con 3.969 residenti in meno rispetto all’anno precedente (300.516 abitanti) e ben 10.243 residenti rispetto al primo gennaio 2018 (303.790 abitanti).
E pensare che nel censimento del 1951, i molisani residenti superavano abbondantemente le 400.000 unità, in quello del 2001 erano 320.601 mentre in quello del 2011 erano già scesi pericolosamente a 313.660. Una tendenza, come è evidente, che parte da lontano, che oggi è davvero preoccupante ma che non ha mai avuto le giuste attenzioni da parte della classe politica che si è avvicendata lungo mezzo secolo.
La politica non affronta il problema del calo demografico
Bisogna tenere conto che tra i dolorosi effetti del calo demografico ci sono un drastico calo economico cui segue un evidente aumento del debito pubblico regionale, fattori questi che condizionano negativamente la tenuta sociale ed economica della regione ma che sembrano preoccupare solo quando arriva l’ora del consueto rapporto Istat, per sparire subito dopo dall’agenda politica.
L’Istat, infatti, stima un indice di dipendenza strutturale, con una grave situazione di squilibrio generazionale, che sovraccarica la popolazione che dovrebbe provvedere al sostentamento della fascia di popolazione in età non attiva, con un carico sociale ed economico che la politica, il cui compito è la programmazione, non doveva e non poteva ignorare. E men che meno può farlo oggi.
Ed è così che in un Molise in crisi demografica, oltre che economica, anche il tessuto imprenditoriale invecchia, facendo registrare sempre meno imprese giovanili a causa del superamento della soglia dei 35 anni da parte di un cospicuo numero di imprenditori; parallelamente si assiste ad un rallentamento delle iscrizioni.
La pandemia ha acuito i problemi strutturali, in Molise più che altrove
La pandemia, poi, ci ha messo il carico da 90: ha accresciuto i divari territoriali, di genere, di età e fra i settori produttivi. Tuttavia, per la prima volta dal 2010, nonostante la pandemia abbia frenato la natalità delle imprese a causa di un clima di incertezze, nel primo trimestre del 2021 il tasso di crescita delle imprese italiane è stato positivo (0,08%), facendo ipotizzare che le prospettive di rilancio legate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) influiscano anche sulle cancellazioni che sono state in rallentamento. Ciò, purtroppo, non vale per il Molise che in controtendenza rispetto alla media nazionale ha sofferto di più, facendo registrare un tasso di crescita del Paese (-0,48%) seppur inferiore rispetto a quello del I trimestre 2020.
La digitalizzazione non è più rinviabile
Ma il digitale è la leva per ridurli. Come mostra il dossier presentato in aprile da Unioncamere, nel corso dell’assemblea dei presidenti delle Camere di commercio, l’utilizzo delle nuove tecnologie limita le differenze tra piccole e medio-grandi aziende, contribuisce a sostenere la governance delle imprese manifatturiere a conduzione familiare, agevola il recupero delle aziende dei servizi, più tartassate dal Covid.
“La digitalizzazione vale fino a 7 punti di Pil, ma abbiamo ancora un ritardo enorme da colmare”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli. “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una occasione unica, però occorre coinvolgere attivamente milioni di Pmi, di artigiani e di lavoratori autonomi”.
Dalla relazione annuale si legge, testualmente, che secondo i dati di Unioncamere e del Centro studi Guglielmo Tagliacarne, il 70% delle micro e piccole imprese che ha avviato la svolta digital ritiene di poter raggiungere i livelli di produttività pre-Covid già nel 2022 (contro il 61% di quelle che ancora non hanno messo in campo investimenti nelle nuove tecnologie).
In un report firmato da Legambiente e Symbola, e riportato da IlSole24Ore in un articolo del 6 maggio scorso dal titolo “La rinascita dei borghi parte dalla connessione, ma non solo digitale“, si evidenzia come, sul tema della banda larga, occorra ancora lavorare molto visto che nei piccoli Comuni copre il 17,4% delle utenze servite contro una media nazionale del 66,9%.
Dal lavoro all’energia, passando per il paesaggio: cogliere le nuove sfide per rinascere
I nostri borghi devono essere pronti quindi alle nuove sfide che la pandemia ha accelerato diventando attrattori anche per nuovi stili di vita e per un nuovo modo di concepire il lavoro grazie allo smartworking. Tuttavia, è ora di cominciare a sentire nostri i concetti di comunità energetiche, di bioedilizia moderna in grado non solo di recuperare l’esistente ma anche di valorizzare il contesto paesaggistico.
Lavoro: solo così possiamo fermare l’emorragia. Il Molise non è terra industriale, i suoi punti di debolezza sono oggi più che mai quelli di forza dai quali immaginare il futuro ed essere pronti alle sfide dei nuovi lavori che stanno sempre più prendendo piede.
Un ambiente sano che si presta a diventare luogo di ricerca scientifica, dove misurarsi con la transizione ecologica finalmente entrata nell’agenda del governo.
Anche l’idea rilanciata dal presidente nazionale dei Borghi d’Italia oggi assume un rilievo nuovo: convenzioni con le Università, italiane e straniere, per rendere i nostri paesi dei veri e propri campus dove la scienza studia e applica quanto poi sarà patrimonio mondiale.
Sarebbe un sogno. Che però si scontra come sempre con la nostra desolante realtà.
Non abbiamo strade – né d’asfalto né digitali – perché questo progetto visionario possa concretizzarsi. Non abbiamo un sistema viario degno dei nostri tempi, l’elettrificazione della rete ferroviaria è ancora a metà. Soprattutto non abbiamo un organo di consultazione istituzionale permanente per gli enti locali.
Non può bastare solo la salubrità dell’aria ad un investitore, non può e non deve bastare nemmeno ai molisani che cocciutamente resistono, che non vogliono scappare via ma ai quali sembra che la classe politica – responsabile delle scelte, sia quelle adottate che quelle mai contemplate – li stia accompagnando fuori regione semplicemente ignorandoli.
La politica c’entra: nelle responsabilità di scelte non compiute, di decisioni coraggiose non adottate, nelle visioni di futuro mai avute.